sabato 1 marzo 2014

A proposito di green economy...

Da quanto tempo nessuno scrive più niente sul blog! Dai, ora si avvicina un periodo intenso, con un bel po' di attività del nostro gruppo, chissà che ci sia anche una stimolazione intellettuale in parallelo! Io da parte mia ricomincio parlando di cronaca nera, nera e puzzolente: lo smog a Pechino.

In questi giorni sono usciti un sacco di articoli riguardanti la tremenda situazione atmosferica di Pechino. Non è una novità, sono anni che la capitale della Cina è famosa per il livello di inquinamento decisamente troppo alto. Il problema è che col tempo la situazione peggiora invece di migliorare, lo smog cresce di pari passo con la crescita industriale e quindi la richiesta di energia, prodotta principalmente dal carbone, la fonte più economica e facile da sfruttare. L'aria per molti giorni all'anno risulta tossica: la concentrazione di pm 2,5 (particelle di diametro inferiore a 2,5 micron, che l'apparato respiratorio non riesce a filtrare e lascia penetrare in profondità nei polmoni) è arrivata ad essere oltre 20 volte maggiore del limite di sicurezza, fissato dall'OMS a 25 μg/m³. Un così alto livello di inquinamento è incompatibile con la vita degli esseri umani, anche dal punto di vista psicologico: per ridurre la concentrazione di inquinanti quando raggiunge livelli troppo alti sono costretti a provocare piogge artificiali, per cui o il cielo è grigio e l'aria irrespirabile, o piove! (Proprio pochi giorni fa era uscita la notizia dei cartelloni con lo skyline di Hong Kong con cielo blu, così i turisti tornano a casa con almeno una foto decente!) Come se non bastasse, He Dongxian, professoressa della China Agricultural University, ha fatto notare come il particolato presente nell'atmosfera si depositi sulle serre, arrivando a dimezzare la quantità di luce trasmessa e rallentando quindi i processi fotosintetici delle piante coltivate, con conseguente drastica riduzione della produzione agricola. Di fatto, l'incubo di un inverno nucleare (per approfondire rimando alla fonte, the guardian).


La Cina non è sola nella particolare gara a chi produce più inquinanti, ma è in ottima compagnia: la stessa fonte citata in precedenza ha reso note delle stime relative alle tonnellate di anidride carbonica prodotte da tutti i Paesi in via di sviluppo dal 2000 ad oggi, che risultano più che raddoppiate. Alla faccia della green economy! Come però scopriamo dalla cara Wikipedia, la burocrazia è spesso la soluzione di molti rompicapi: i Paesi emergenti, pur sottoscrivendo il famoso protocollo di Kyoto, non sono tenuti a rispettarlo perchè non sono ritenuti responsabili della attuale situazione, essendo ancora poco industrializzati nel periodo preso come riferimento al momento della redazione del trattato. Ecco spiegato il motivo dell'aumento vertiginoso di inquinamento atmosferico in questi Paesi! Ma sì, chi se ne frega, "sbagliando s'impara" è solo un simpatico motto per incoraggiare i bambini poco attenti a scuola!

A chi va attribuita però la responsabilità di questa situazione ai limiti del paradossale? Qui la questione si fa delicata e può tornarci utile un concetto molto conosciuto, specialmente dalle nostre parti: la delocalizzazione (vedi lettera43). Chi è stato a promuovere una industrializzazione così selvaggia dei Paesi emergenti, se non gli interessi delle aziende dell'Occidente? Leggi iper-permissive, energia e manodopera a basso costo, grandi volumi di produzione di oggetti dal basso contenuto tecnologico, per lo più commodities, le cause della globalizzazione dei mercati ormai ci vengono fuori da ogni orifizio. Il fatto è che le tecnologie spesso obsolete usate negli stabilimenti produttivi e nelle centrali elettriche nei Paesi in via di sviluppo sono l'esatto contrario dell'efficienza e del risparmio energetico! E così nei nostri Stati avanzatissimi si discute quotidianamente di ecologia ed ambiente, tanto per dare aria alla bocca, mentre le nostre multinazionali producono in posti dove ormai non si vede neanche più il sole!

Abbiamo delocalizzato l'inquinamento, pensando che tanto se non lo vediamo, se non sentiamo fumi maleodoranti, allora è come se non esistesse, non ci può danneggiare. Monocolture, allevamenti, produzione di materie prime, produzione di oggetti di largo consumo, tutto spostato dove non ci sono rotture di scatole, dove la gente accetta di lavorare giorno e notte e non si lamenta dei fiumi schiumosi, della terra gialla o dell'aria grigia. Che poi, anche se facciamo qualche danno ai poveracci poco male, il lavoro che gli portiamo li fa comunque stare meglio di come stavano prima (incredibile, ma tanti lo credono davvero...). Insomma, facciamo leggi sempre più restrittive nei nostri Paesi dove ormai sono rimasti in pochi a doverle rispettare, mentre là dove ormai da parecchi anni è in corso un disastro ecologico e sociale di proporzioni mai viste nessuno muove un dito, accecati dallo straordinario arricchimento.

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